
Con la scomparsa di Pelè, se ne va, oltre che uno dei più grandi del gioco del calcio, anche uno dei protagonisti principali dell’unico mondiale di calcio mai giocato in Svezia e nel Nord Europa. Era il torneo del 1958, quello che tenne a battesimo il talento brasiliano, all’epoca neppure diciottenne.
Il Brasile era arrivato in Svezia qualificandosi nel difficile scontro diretto contro il Perù, vinto al Maracanà con il minimo scarto. L’Italia, in quello che è stato un unicum fino al 2018, non si era qualificata a causa della sconfitta nello spareggio contro l’Irlanda del Nord.
Pelè aveva già esordito in nazionale un anno prima della rassegna iridata, ma era infortunato e la sua presenza rimase a lungo in dubbio. Oltre che su di lui, tanta era la curiosità verso un altro grande campione, Garrincha, la cui vita sregolata lo ha portato via molto presto. Garrincha, in Svezia, ha lasciato un figlio: tornato in Scandinavia nell’estate del 1959 per una tournèe, mise incinta una ragazza che diede alla luce un bambino, poi dato in adozione e chiamato Ulf Lindberg, che vive ancora oggi ad Halmstad. I figli di Lindberg, nipoti di Garrincha, hanno giocato nelle giovanili della Svezia e dell’Halmstad.
Il Brasile venne inserito in un girone difficilissimo con Inghilterra, Unione Sovietica e Austria, con partite in scena nel Västra Götaland, fra Uddevalla (dove i verdeoro esordirono battendo 3-0 l’Austria, con gol di Altafini), Borås e Göteborg. Qui, allo stadio Ullevi, Pelè giocò la prima partita del torneo contro i sovietici, mettendo in mostra sin da subito il suo enorme talento.
Sempre nella città del Poseidone, Pelè segna il gol con cui la Seleçao sconfigge il Galles nei quarti, per poi trasferirsi a Stoccolma, allo Stadio Råsunda (demolito nel 2013 per fare spazio alla Friends Arena), dove andrà in scena il suo capolavoro: la tripletta in semifinale contro la Francia di Just Fontaine (che sarà capocannoniere del torneo), e la finale contro i padroni di casa, vinta 5-2 con doppietta di O’Rey. Giovanissimo, il campione brasiliano si lasciò andare in un pianto di commozione, immortalato dai fotografi durante la cerimonia finale.
Quella finale venne ricordata anche per la maglia blu con cui scesero in campo i Sudamericani che, avendo le stesse divise dei padroni di casa, furono costretti a un cambio scaramantico: le maglie di riserva erano bianche, simili a quelle indossate nel 1950 nella finale del Maracanazo, ovvero l’impensabile sconfitta conto l’Uruguay in casa. Fu così che i magazzinieri del Brasile si precipitarono a comprare divise blu, che ancora oggi contraddistinguono il Brasile quando affronta una squadra dai colori identici.
Di quella partita, in cui giocarono numerosi atleti poi passati dall’Italia, come i rossoneri Gren e Liedholm, il nerazzurro Skoglund e l’atalantino Gustavsson, sopravvivono ancora due svedesi, il centrocampista Reino Börjesson e l’ala Kurt Hamrin, che ha giocato con Fiorentina e Milan e ancora oggi vive a Firenze, e il brasiliano Mario Zagalo, divenuto poi commissario tecnico. A loro si aggiunge Josè Altafini, campione d’Europa con il Milan e d’Italia con la Juventus, successivamente telecronista di successo. Altafini, però, non scese in campo per la finale e disputò il mondiale successivo con la maglia dell’Italia dopo essere stato naturalizzato.
Il Brasile di Pelè tornerà in Svezia per una serie di amichevoli in Scania (e a Copenhagen, in Danimarca) nel 1960, e ancora nel 1965 in una riedizione della finale di Stoccolma. I protagonisti della finale si ritrovarono per salutarsi in occasione del cinquantesimo anniversario, nel 2008, nello stesso stadio.