
Dopo l'Ok, o forse meglio dire "Oui", di Emmanuel Macron all'ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, sono almeno quattro i paesi in procinto di convalidare la richiesta dei due paesi nordici dopo decenni di neutralità, in seguito all'aggressione della Russia ai danni dell'Ucraina.
Dal momento della domanda, a inizio maggio, si è già attivato il protocollo di accesso da parte dell'Alleanza Atlantica e la conseguente approvazione di più della metà dei suoi 30 membri attuali. Già a fine agosto sarà la camera bassa Ceca ad esprimersi (il Senato lo ha già fatto votando all'unanimità per il Sì), a settembre sarà la volta di Spagna, Portogallo e Grecia. Con questi quattro ingressi, il numero totale dovrebbe arrivare a 27 con l'ideale soluzione di un en-plein entro la fine dell'anno. In Italia, il voto del 2 e 3 agosto del parlamento (33 voti contrari in totale, per lo più di sinistra radicale ed ex 5 Stelle) è stato seguito dalla firma del presidente Mattarella il 5 dello stesso mese.
Rimarranno della partita Slovacchia, Ungheria e Turchia, che rappresentano elementi non semplici da scardinare nel difficile accesso alla Nato: la Slovacchia, decisamente allineata alle posizioni occidentali, potrebbe prevedere tempi lunghi di attuazione a causa delle lungaggini parlamentari, diverso il discorso per Turchia e Ungheria. Nel primo caso, sono state necessarie trattative sul ruolo di Stoccolma ed Helsinki nella difesa dei diritti degli attivisti curdi (con riferimento al Pkk, equiparato da Ankara alle organizzazioni terroristiche) e, nonostante i passi in avanti delle ultime settimane, non è ancora stato avviato l'iter parlamentare. A Budapest, invece, l'ingombrante Orban, il più filo-putiniano fra i leader della UE e della Nato, detiene una larghissima maggioranza in parlamento, ma non ha ancora dato indicazioni ufficiali in merito. Su questo silenzio, si specula che l'Ungheria possa contrattare la propria posizione in cambio dell'indulgenza nordica nei difficili rapporti fra Orban e Bruxelles.