
Il dibattito politico in Italia sembra avviarsi verso un nuovo tentativo di riforma costituzionale, dopo i due precedenti (2006 e 2016) cassati dai referendum necessari in seguito alla mancata intesa fra governo e opposizione. La necessità di un governo stabile in grado di operare rapidamente è un elemento sul quale tutti sembrano essere d’accordo, il problema è il metodo da adottare. E se la soluzione arrivasse dalla Norvegia?
Ad Oslo non vi è nessuna strana formula costituzionale: la Norvegia è una monarchia parlamentare, ma la presenza del Re non ha praticamente nessun effetto sulle scelte politiche dei governo di varia estrazione. Nemmeno la legge elettorale è particolarmente rivoluzionaria, dato che il parlamento elegge con un sistema proporzionale con sbarramento al 4%, sotto il quale è possibile comunque garantirsi un certo numero di parlamentari grazie al raggiungimento della soglia nelle circoscrizioni regionali. Per questo motivo, soprattutto in passato, era frequente che alcuni governi si reggessero grazie all’appoggio di formazioni politiche composte da una manciata di parlamentari, ad esempio il centro-destra nel 2001, quando i due parlamentari liberali tennero in piedi l’esecutivo.
Nonostante una formula molto simile a quella della nostra Prima Repubblica, quasi immutata nel corso degli anni, la Norvegia ha avuto 24 governi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, mentre dal 1946 in poi, in Italia, se ne sono alternati 68. Come è possibile?
Le cause si possono dividere in due macroaree, una istituzionale e una strutturale. Quella istituzionale è legata non tanto ai processi costituzionali, quando al sistema parlamentare norvegese. Mentre in Italia un governo sfiduciato o dimissionario genera una crisi di governo che si risolve solo alla nomina del nuovo Presidente del Consiglio, in Norvegia la crisi di governo nasce e si risolve istantaneamente. A causa del principio della sfiducia costruttiva, le forze politiche che votano la sfiducia ad un governo sono chiamate ad indicare una figura che sono disposte a sostenere in alternativa.
Questa dinamica si è verificata diverse volte (soprattutto in passato, quando i Laburisti equivalevano alla nostra DC per mole di potere e consenso) ed è presente anche in Spagna, dove l’attuale Primo Ministro socialista Pedro Sanchez rimpiazzò il governo di centro-destra dopo aver strappato loro il sostegno dei liberali di Ciudadanos alcuni anni fa, per poi vincere successivamente le elezioni.
A tutto questo, si aggiunge il fatto che il parlamento norvegese, a differenza di quello Italiano, non può essere sciolto e di conseguenza rimane in carica per quattro anni esatti. Allo stesso modo funzionano le amministrazioni locali, che si rinnovano ogni quattro anni in una tornata intermedia fra le elezioni politiche. Quest’anno, in autunno, si terranno le elezioni amministrative in tutti i comuni norvegesi.
Se è vero che la componente istituzionale è un elemento di rilievo, non è l’unico a garantire la governabilità del paese. D’altronde, la Spagna nel decennio scorso ha subito numerose crisi politiche e nel 2019 gli spagnoli andarono al voto ben due volte nel giro di pochi mesi a causa dell’impossibilità di formare una maggioranza.
E’ qui che entrano in gioco i fattori strutturali: il sistema politico norvegese non ha mai subito le crisi di consenso e fiducia riscontrate dai partiti italiani. Per esempio, nel 1958 l’affluenza in Italia era del 94%, mentre nello stesso periodo in Norvegia era del 79%. Trascorsi oltre 60 anni, l’affluenza nel paese nordico è rimasta sostanzialmente invariata (77% nel 2021) mentre le elezioni del 2022 in Italia hanno visto recarsi alle urne solo il 63% degli aventi diritto, un record negativo battuto costantemente dal 2008 ad ora.
La presenza dell’educazione civica nelle scuole e della promozione dell’attivismo dei partiti politici nelle stesse, permette un ricambio generazionale più rapido e una maggiore disponibilità al confronto, mentre in Italia tali iniziative sono state spesso viste con il sospetto di voler indirizzare, o addirittura indottrinare, gli studenti. In Norvegia, prima delle elezioni politiche nazionali, si tiene il cosiddetto “Voto delle scuole”, non troppo diverso dalle elezioni dei rappresentanti di istituto, che però vede coinvolti i partiti politici presenti a livello nazionale e i propri rappresentanti giovanili protagonisti delle assemblee.