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Il Nord e la memoria condivisa


Dei cinque paesi sovrani che compongono il Consiglio Nordico, quattro sono stati coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale, tre hanno partecipato attivamente al conflitto e due sono stati occupati militarmente per intero. Se il 25 Aprile in Italia è ancora (e incredibilmente) oggetto di discussione fra chi la ritiene la data fondativa dell'Italia moderna e democratica e chi la vive come una fastidiosa ricorrenza, nel Nord Europa l'approccio nei confronti di quel periodo storico è diverso, per ovvie ragioni.


Per prima cosa, va fatta una dovuta scrematura: la Svezia non ha partecipato al conflitto e non ha memoria di bombardamenti o persecuzioni; la Finlandia si ritrovò, suo malgrado e da paese democratico, a fiancheggiare la Germania nazista poichè coinvolta nella guerra di inverno (e poi in quella di continuazione) contro l'Unione Sovietica in un conflitto che le costò un pezzo importante di Carelia ad Est. A onor del vero, dopo l'Armistizio di Mosca del 1944, la Finlandia si attivò per allontanare le truppe tedesche dalla Lapponia, occupata dai nazisti per sfruttarne le miniere.


E' evidente che, in Svezia e Finlandia, l'approccio con il conflitto ha un significato diverso: la Svezia, al pari della Svizzera, aveva sfruttato la sua neutralità per accogliere ebrei ed altri perseguitati (e, al contempo, concedere ai soldati nazisti di attraversare le linee ferroviarie per arrivare in Norvegia), mentre la Finlandia combattè una guerra coraggiosa contro un avversario (pre)potente. E così, mentre in Svezia l'antifascismo ha radici più moderne, legate soprattutto all'avversione nei confronti della destra radicale, in Finlandia le due guerre contro l'Unione Sovietica sono legittimamente al centro di opere cinematografiche e letterarie (su tutte, "Il soldato sconosciuto", con il remake prodotto solo alcuni anni fa).


Ma cosa succede in quei paesi che hanno subito l'aggressione nazista? L'Islanda, pur avendo virtualmente partecipato alla guerra, va tolta dal computo poiché era parte integrante della Danimarca fino al 1944, ma venne immediatamente protetta dagli Alleati risparmiandosi l'occupazione tedesca. Rimangono Norvegia e Danimarca.

Il 9 Aprile del 1940, entrambi i paesi vennero occupati dai nazisti, con conseguenze diverse: quella nei confronti della Danimarca, fu un'invasione rapida e non eccessivamente cruenta (si contarono circa 200 morti fra i soldati danesi) che si risolse in sei ore, al termine delle quali la Danimarca, pur privata di un esercito, rimase formalmente un paese autonomo, tanto che nel 1943 si celebrarono elezioni piuttosto libere (venne ufficialmente escluso il Partito Comunista e i nazisti sostennero una loro lista che non ebbe successo). Nonostante questo, oltre 3000 danesi morirono durante l'occupazione per responsabilità diretta dei nazisti.


Lo stesso giorno, la Norvegia si ritrovò duramente attaccata dalla Germania Nazista: a differenza della Danimarca, la Norvegia subì una dura occupazione, durante la quale il Re venne costretto all'esilio, gli oppositori vennero perseguitati e inviati nei campi di concentramento e venne istituito un governo filonazista presieduto dal collaborazionista Vidkun Quisling, termine che ancora oggi, nel mondo anglosassone, viene rivolto a chi è ritenuto un traditore. Quisling venne messo in disparte dai nazisti stessi limitando i poteri del suo governo sotto la direzione del plenipotenziario Josef Terboven e giustiziato dopo la liberazione, nell'ottobre del 1945.


Ciò che contraddistingue Danimarca e Norvegia è il riconoscimento pressoché unanime (eccezion fatta per gli svitati tipo Breivik) dell'importanza della Resistenza nelle sue diverse forme. In Danimarca, la Resistenza si occupò soprattutto di mettere in salvo gli ebrei, mentre in Norvegia portò a termine importanti operazioni militari, spesso rese celebri da libri e film al pari di quanto narrato in Finlandia. Non esiste un filo diretto fra quel periodo storico ed elementi politici odierni: certo, ci sono gli estremisti esterni alle logiche parlamentari e che utilizzano la violenza come elemento di propaganda, così come ci sono formazioni politiche che, per linguaggio e proposte, ricordano episodi poco felici. Al di là di queste situazioni borderline, sarebbe impensabile immaginare la seconda carica dello stato trovare una scusa al non voler celebrare la liberazione dal nazismo, che in Danimarca è avvenuta il 5 maggio e in Norvegia il 9 con la resa del governo Quisling.


Forse ci sono di mezzo quei vent'anni di regime che hanno inevitabilmente condizionato l'Italia molto più dei cinque anni di Quisling in Norvegia o della relativa autonomia del governo di Copenhagen. Non è un caso che nessuno dei due paesi celebri la liberazione con una festa nazionale: sia in Norvegia che in Danimarca, la festa nazionale coincide con la firma della Costituzione e i cinque anni di guerra sono interpretati più come un'interruzione del legittimo processo democratico nei due paesi, che non come un punto di rottura verso ciò che era esistito prima.


Questo è uno dei pochi argomenti in cui l'Italia deve fare i conti con sé stessa: il Nord Europa è un modello di convivenza e di civiltà politica, ma lo è soprattutto perchè tutte le parti in causa hanno riconosciuto, sin dall'inizio della loro età moderna, la prevalenza della legge sulla forza ed è questo che viene ancora insegnato nelle lezioni destinate all'educazione civica. E' un lavoro duro, quello della comprensione dei fenomeni democratici: deve partire dalle scuole, senza retorica e senza l'idea che si sia instillando qualcosa di fazioso. I frutti li coglierà la società intera.

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