
Il ritorno all’energia nucleare è una costante della politica Italiana dal 1987, anno in cui un referendum ne decretò la fine nel nostro territorio. Sempre un referendum, nel 2011, confermò la decisione di 24 anni prima. In entrambi i casi, i referendum si erano svolti pochi mesi dopo due incidenti nucleari: quello di Chernobyl del 1986 (dovuto a difetti di fabbricazione ed una serie di errori umani) e quello di Fukushima del marzo 2011 causato dalle onde dello tsunami che aveva colpito le coste giapponesi. L’incidente di Fukushima causò danni limitati e circostanziati rispetto a quelli della centrale sovietica.
In Italia sembra che la maggior parte della classe politica, anche in risposta alla crisi energetica, sia intenzionata a riproporre l’uso di energia nucleare (anche a seguito della crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina) e finanziare nuovamente la ricerca. A favore si sono dichiarati Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Carlo Calenda, più cauta si è rivelata Giorgia Meloni, mentre Giuseppe Conte si è definito meno scettico riguardo al nucleare di quarta generazione.
Nel Nord Europa sono due i paesi che utilizzano l’energia nucleare: la Finlandia con i cinque reattori delle centrali di Olkiluoto (in foto) e Lovisa e la Svezia con sei, situati a Oskarshamn, Ringhals e Forsmark.
La Finlandia è individuata come uno dei paesi più avanzati al mondo in termini di ricerca e tecnologia, tanto che la popolazione stessa è ampiamente a favore dell’energia nucleare e da tempo si sta preparando la costruzione di una nuova centrale nella provincia di Oulu. Le centrali finlandesi producono oltre 22.000 gWh equivalenti al 32% del consumo nazionale di elettricità. Per fare un paragone con l’Italia, 22.000 gWh era la produzione di elettricità attraverso il fotovoltaico nel 2019.
In Svezia il dibattito è stato più animato nel tempo, con i governi del centrosinistra (sostenuti dai Verdi) che avevano un tempo previsto una progressiva eliminazione del programma nucleare, poi prorogato dal primo ministro Moderato Fredrik Reinfeldt nel 2010. Attualmente quattro reattori dovrebbero essere decommissionati entro il 2028 e sostituiti con altrettanti corrispondenti alla più recente tecnologia, considerato che la loro costruzione risale per lo più agli anni ’70 e ’80. I sei reattori svedesi producono 51.000 gWh (30% dell’energia nazionale), un valore superiore all’energia importata annualmente dall’Italia nel corso dell’ultimo decennio.
I rifiuti radioattivi, in Finlandia, sono disposti nel primo sistema di profondità scavato nella roccia madre, destinato a conservarli per oltre 100.000 anni. La Svezia ha costruito un sistema di conservazione per i rifiuti a radioattività breve, ma la parte restante viene conservata nelle centrali nell’attesa della costruzione di un centro di raccolta simile a quello finlandese.
In Norvegia l’energia nucleare non è mai stata impiegata, sebbene siano esistiti alcuni centri di ricerca: l’economia nazionale è basata sull’estrazione e l’esportazione di petrolio e gas, risorse naturali che garantiscono al paese una forte stabilità. Anche in Danimarca erano presenti centri di ricerca, ora decommissionati, mentre la legge nazionale del 1985 impedisce la produzione di energia nucleare, sebbene ne consenta l’importazione.